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domenica 2 agosto 2020

IL MIO COMING-OUT CON LA MASCHERINA

E così la pandemia è arrivata.

E qualche mese dopo se n’è andata.

Ah no.

Scusate, ogni tanto il senso comune mi travolge e fatico a capire cosa sia la verità.

La verità: questa sconosciuta.

Qualche mese di lockdown, una fase 1, 2, 3, stella! E poi tutto torna come prima.

A parte me.

Il lavoro riprende anche se con molta calma e molte incertezze.

Il tempo riprende a scorrere anche se ancora non mi capacito di come ad aprile ci possano essere le temperature di agosto. Ah, mi dicono che siamo in agosto. Ho capito il problema.

La pandemia ha creato un vortice spazio temporale all’interno della mia casa. Il tempo è scorso lento e veloce. Ciò che è successo prima della pandemia, mi sembra lontano anni per alcuni versi. Quello che è successo durante, è durato anni, quello che vivo adesso mi sfugge fra le dita: lo afferro un secondo e quello dopo è andato, perso e c’è ancora fatica da fare per afferrare il senso almeno di una manciata di secondi.

Ecco e poi ci sono io e il mio rapporto di odio e amore con la mia mascherina.

E il mio rapporto di affetto con l’umanità in genere, ma ancora di più con le persone a cui tengo.

Il mio inizio spassionato in cui immagino a cene in distanziamento sociale e film con gli amici e con la mia mascherina.

Sembra una relazione, benché appena nata, stabile e serena.

E invece l’idillio inizia a sbiadire.

Iniziano le feste in giardino. Iniziano con la maggior parte degli invitati senza mascherine. Iniziano le giustificazioni di ciascuno.

Chi ha appena fatto il tampone, chi ritiene che all’aria aperta non ci siano rischi, chi ti tranquillizza dicendo che lui non ha paura del virus o che comunque non è stato a contatto con persone positive, chi dice che ha preso un po’ di sicurezza ed è tornato a vivere.

Poi le giustificazioni non ci sono più, non servono, in fondo siamo amici, io mi fido degli amici, so che loro non mi porteranno il Covid.

Come se il coronavirus fosse una questione di fiducia.

Ma io non ce la faccio.

La mascherina la tolgo se siamo all’aperto e le altre persone sono a 2 metri di distanza. Altrimenti, io e la mia mascherina ce ne stiamo così, labbra sulle labbra, io che a volte ripeto le frasi due volte perché non è che la sua stoffa renda proprio cristallina la mia voce, ma onestamente non mi pesa.

E così mi ritrovo a capire che ogni volta che uscirò con qualcuno, ogni volta che incontrerò le persone (e volente o nolente, nemmeno volendo avere meno contatti con il mondo possibili, potrei evitare di incontrare qualche essere umano) dovrò praticamente fare coming-out.

Non so nemmeno se è meglio dirlo ad alta voce o lasciare che la mia mascherina parli per me. È così che mi sento. Gli sguardi addosso di chi non capisce che la mascherina, protegge più loro che me. La pesantezza di dover essere una coppia resiliente, una coppia a prova del giudizio degli altri, io e la mia mascherina.

E un divario valoriale mi allontana dagli altri. Non si tratta di meglio o peggio. Si tratta di valori diversi.

Portare la mascherina in questo preciso momento storico è l’esternazione di un valore differente da quello delle persone che non la portano.

O forse anche loro lo pensano un valore importante ma non hanno la forza di metterlo in pratica.

Questo aumenta la confusione nella mia mente e, in qualche modo, anche questo divario sembra allargarsi di giorno in giorno.

Perché il valore “avere cura della vita degli altri a prescindere dai sacrifici che devo fare” ecco, quello è un valore importante per me.

Ecco perché quando mi presento con la mia mascherina mi sembra (che paradosso!) di mettermi a nudo. Di avere tutte queste cose stampigliate su una lunga e visibile etichetta che mi porto appresso.

Così, come in un coming-out continuo, mi affatico a tener duro, a essere sempre diversa. Ma non posso fare diversamente. Io e la mia mascherina siamo le uniche armi di libertà che mi sono rimaste.




“A un uomo si può togliere tutto, tranne una cosa: l’ultima delle libertà umane – la possibilità di scegliere il proprio atteggiamento in ogni circostanza – di scegliere il proprio modo.”
Viktor Frankl


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