E
così la pandemia è arrivata.
E
qualche mese dopo se n’è andata.
Ah
no.
Scusate,
ogni tanto il senso comune mi travolge e fatico a capire cosa sia la
verità.
La
verità: questa sconosciuta.
Qualche
mese di lockdown, una fase 1, 2, 3, stella! E poi tutto torna come
prima.
A
parte me.
Il
lavoro riprende anche se con molta calma e molte incertezze.
Il
tempo riprende a scorrere anche se ancora non mi capacito di come ad
aprile ci possano essere le temperature di agosto. Ah, mi dicono che
siamo in agosto. Ho capito il problema.
La
pandemia ha creato un vortice spazio temporale all’interno della
mia casa. Il tempo è scorso lento e veloce. Ciò che è successo
prima della pandemia, mi sembra lontano anni per alcuni versi. Quello
che è successo durante, è durato anni, quello che vivo adesso mi
sfugge fra le dita: lo afferro un secondo e quello dopo è andato,
perso e c’è ancora fatica da fare per afferrare il senso almeno di
una manciata di secondi.
Ecco
e poi ci sono io e il mio rapporto di odio e amore con la mia
mascherina.
E
il mio rapporto di affetto con l’umanità in genere, ma ancora di
più con le persone a cui tengo.
Il
mio inizio spassionato in cui immagino a cene in distanziamento
sociale e film con gli amici e con la mia mascherina.
Sembra
una relazione, benché appena nata, stabile e serena.
E
invece l’idillio inizia a sbiadire.
Iniziano
le feste in giardino. Iniziano con la maggior parte degli invitati
senza mascherine. Iniziano le giustificazioni di ciascuno.
Chi
ha appena fatto il tampone, chi ritiene che all’aria aperta non ci
siano rischi, chi ti tranquillizza dicendo che lui non ha paura del
virus o che comunque non è stato a contatto con persone positive,
chi dice che ha preso un po’ di sicurezza ed è tornato a vivere.
Poi
le giustificazioni non ci sono più, non servono, in fondo siamo
amici, io mi fido degli amici, so che loro non mi porteranno il
Covid.
Come
se il coronavirus fosse una questione di fiducia.
Ma
io non ce la faccio.
La
mascherina la tolgo se siamo all’aperto e le altre persone sono a 2
metri di distanza. Altrimenti, io e la mia mascherina ce ne stiamo
così, labbra sulle labbra, io che a volte ripeto le frasi due volte
perché non è che la sua stoffa renda proprio cristallina la mia
voce, ma onestamente non mi pesa.
E
così mi ritrovo a capire che ogni volta che uscirò con qualcuno,
ogni volta che incontrerò le persone (e volente o nolente, nemmeno
volendo avere meno contatti con il mondo possibili, potrei evitare di
incontrare qualche essere umano) dovrò praticamente fare coming-out.
Non
so nemmeno se è meglio dirlo ad alta voce o lasciare che la mia
mascherina parli per me. È così che mi sento. Gli sguardi addosso
di chi non capisce che la mascherina, protegge più loro che me. La
pesantezza di dover essere una coppia resiliente, una coppia a prova
del giudizio degli altri, io e la mia mascherina.
E
un divario valoriale mi allontana dagli altri. Non si tratta di
meglio o peggio. Si tratta di valori diversi.
Portare
la mascherina in questo preciso momento storico è l’esternazione
di un valore differente da quello delle persone che non la portano.
O
forse anche loro lo pensano un valore importante ma non hanno la
forza di metterlo in pratica.
Questo
aumenta la confusione nella mia mente e, in qualche modo, anche
questo divario sembra allargarsi di giorno in giorno.
Perché
il valore “avere cura della vita degli altri a prescindere dai
sacrifici che devo fare” ecco, quello è un valore importante per
me.
Ecco
perché quando mi presento con la mia mascherina mi sembra (che
paradosso!) di mettermi a nudo. Di avere tutte queste cose
stampigliate su una lunga e visibile etichetta che mi porto appresso.
Così,
come in un coming-out continuo, mi affatico a tener duro, a essere
sempre diversa. Ma non posso fare diversamente. Io e la mia
mascherina siamo le uniche armi di libertà che mi sono rimaste.
“A un uomo si può togliere tutto, tranne una cosa: l’ultima delle libertà umane – la possibilità di scegliere il proprio atteggiamento in ogni circostanza – di scegliere il proprio modo.”
Viktor Frankl